In una suggestiva vallata circondata dai monti Nebrodi e punteggiata da numerose contrade, sorge Tortorici. I nomi di origine greca di alcune delle 72 contrade fanno pensare ad un’antichissima origine che la leggenda collega ad Enea.

Fu probabilmente fondata in epoca bizantina da esuli di origine greca, fuggiti a seguito delle occupazioni arabe di Cartagine e dei territori limitrofi. Si fa risalire a questo avvenimento la leggenda di una tribù della Numidia, della regione dell’Aures, che fronteggiò l’avanzata araba sotto la guida della regina Diha, che insieme ad Aures, nel corso dei secoli, potrebbe aver prodotto il nome che ricorre nelle leggende, ovvero Orice, la principessa cartaginese fondatrice della città di Tortorici.

Probabilmente le popolazioni che si erano stabilite nel territorio avevano a cuore questa regina e il suo sacrificio per la loro sopravvivenza e continuarono a tramandare la sua storia. Non si hanno notizie certe della città fino al XIII secolo nonostante i documenti che la citano risalgano già al periodo dei Normanni. Fu terra feudale dal 1231 e per i 400 anni successivi dovette sottostare al giogo dei suoi baroni. Primi feudatari furono i Pollicino, nobile famiglia genovese, e possedettero Tortorici dal 1231 al 1513, salvo brevi interruzioni, come concessione dell’imperatore Federico II di Svevia.

Già in questo periodo Tortorici comincia la sua espansione: costruisce chiese, case e palazzi; opifici e botteghe per la lavorazione di ferro, rame e bronzo; l’agricoltura si amplia e si delinea anche l’attività di estrazione dell’oro. Dopo la morte di Federico II e la disfatta del figlio Manfredi, reggente in Sicilia, il potere passò in mano agli Angioini, il cui malgoverno ebbe breve durata; il malcontento generale sfociò nella Guerra del Vespro, dove il popolo di Sicilia si sollevò contro gli stranieri. Tortorici fu la seconda terra del messinese a cacciare gli Angioini. Nonostante il susseguirsi di nobili casate (prima i Pollicino, poi i Mondaca e poi i Mastrilli) ben poco nobili furono le intenzioni. La costante presenza di una forte borghesia, che sfruttava le risorse agricole e tassava pesantemente le attività artigianali, fece maturare nei cittadini la voglia sempre più grande di liberarsi dagli obblighi feudali.

Ciò era avvalorato dal fatto che nel 1583 la riforma amministrativa del territorio prevedeva la divisione della Sicilia in 44 “Comarche”, tra cui anche Tortorici, che aveva giurisdizione su 14 comuni limitrofi: Alcara, Castania, Ficarra, Galati, Longi, Militello, Naso, Raccuja, S. Salvatore, Sinagra, Ucria, S. Marco, con le terre di Capri, Mirto e Frazzanò, con ben 29.909 abitanti censiti.

Il 4 giugno 1583 l’Università di Tortorici chiese il riscatto dal giogo feudale e l’annessione del territorio al Regio Demanio. Solo 40 anni più tardi, nel 1623, venne stabilito il modo attraverso cui ottenerlo; fu deciso di acquistare la Baronia dai Mastrilli. Si sarebbe cercato un usuraio da cui ottenere un prestito, che sarebbe stato poi ripagato tramite l’imposizione di gabelle; dopo lunghe trattative, il 6 maggio 1628, Don Giacomo Pizzuto e Gaspare Rubino, in rappresentanza di cittadini, firmarono il contratto con l’usuraio genovese, il Sacerdote Camillo Pallavicino, che prevedeva il prestito di 14.000 onze necessarie al pagamento della Baronia.

Il 25 ottobre 1630 il pagamento venne depositato alla Tavola di Palermo, e il 31 ottobre dello stesso anno Tortorici si sedette al Parlamento siciliano con il titolo di “Fidelis et victoriosa civitas”, come prima città dell’isola a liberarsi dall’oppressione feudale. Tra il 1630 e il 1635 la città venne eletta Capo-Comarca, acquisendo giurisdizione su altri territori, tra cui Capo d’Orlando, Piraino e San Piero Patti. Fu un periodo di grande splendore artistico e culturale grazie anche ai numerosi artisti che qui vissero e operarono, come ad esempio il pittore Giuseppe Tomasi i cui dipinti, dal taglio caravaggesco, si possono ammirare all’interno delle chiese più importanti della città; altra importanti attività era quella della fusione delle campane ad opera di grandi maestri fonditori, che costruirono campane per quasi tutte le chiese della Sicilia. Questo aureo periodo ebbe però breve durata. Appena cinque giorni prima dalla scadenza stabilita per la fine del pagamento all’usuraio, il 6 giugno 1682, una terribile alluvione mise in ginocchio la città, distruggendola e causando  circa 600 morti. 

All’ inizio del ventesimo secolo i Tortoriciani (o Oricensi) promossero intense attività commerciali in tutta la Sicilia, principalmente la vendita del pregiato prodotto delle nocciole e in generale dei prodotti agricoli. L’incomparabile bellezza del paesaggio, della natura incontaminata, con la riserva naturale del Vallone Calagni, dovuta alla presenza dell’ umile Petagna Saniculaefolia e la pluralità dei laghi, fanno di Tortorici un paese di inestimabile ricchezza, dove le bellezze naturali si coniugano con monumenti storici artistici coronati dal dedalo di viuzze, definito in dialetto “vaneddi”, che formano il centro storico della città.